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Non esistono Genitori Perfetti

  • Immagine del redattore: Doriana Guglielman
    Doriana Guglielman
  • 11 apr 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

In questi giorni, stando a casa ho potuto lavorare di più su me stessa e sul rapporto con i miei figli, adolescenti entrambi, maschio e femmina. Mi sono resa conto che quando entro in collusione con loro, non è la mia parte adulta che si confronta, ma la me adolescente, quella che vuole avere sempre ragione, che controbatte, che si oppone a muro. Per non parlare poi del controllo (genitoriale) e il potere (genitoriale) che non vogliamo perdere su di loro, ci da potere. Bene, vi domanderete, come hai fatto a capire tutto questo? Beh, di certo non da sola, mi sono aiutata con le mie sessioni di meditazione, ma anche con l’aiuto dei ragazzi stessi. Inizialmente non è stato facile, mi coprivo con la classica frase da genitore: “E’ ma sti ragazzi … l’adolescenza è una fase tremenda … rispondono sempre male … sanno tutto loro!!! E io come mi stavo comportando??? Esattamente come loro, non mollavo di una virgola!! Poi ho capito che dovevo mollare, che devo essere sì, un genitore attento, ma soprattutto un genitore che permette ai propri figli di fare le proprie esperienze, di poter diventare adulti affermare le loro emozioni, punti di vista, la loro personalità. Non esistono “Genitori Perfetti”, e l’ammissione di un genitore, di fronte al proprio figlio, di un suo errore, e un dialogo gentile ed amorevole, permettono la crescita di entrambi e della relazione stessa, nella stima e nella fiducia reciproca, nel potergli far sperimentare che possono dire il loro pensiero e non succede nulla “non perdo l’amore della loro madre”. I miei figli sono sempre stati i miei più grandi maestri, il mio specchio, la mia cartina tornasole, da sempre, fin da quando erano piccoli. “I Tibetani dicono che il nemico è un grande maestro, perché solo un nemico ti aiuta a rafforzare la pazienza e la compassione” (dal film sette anni in Tibet). Mi ricordo che quando erano di circa un paio di anni, andando dalla mia psicoterapeuta, li descrivevo come dei ragnetti, e con la mano facevo il segno di scacciarli dalle mie braccia. La risposta della mia terapeuta fu, e sempre sarà: “quello che la infastidisce di altri è perché le appartiene”, usi questa cosa per diventare curiosa, si appassioni a scoprire cosa tutto questo le risuona dentro. Beh tutte le volte, che consapevolmente mi metto li ad “indagare” esce fuori qualcosa di me, tipo: se non sopporto che piangono, il più delle volte è perché sono io stessa che mi lamento, e piagnucolo per situazioni e cose. Quando si tratta di osservare delle persone, in particolare i nostri figli, l’ideale sarebbe coniugare la capacità di osservarli contemporaneamente alla capacità di osservare le proprie reazioni/emozioni. Certe cose infatti vengono sottolineate o, all’opposto negate, in conseguenza alle emozioni che suscitano in noi. Accade così che le re-azioni prevalgano sull’osservazione generando delle risposte che ostacolano la comprensione e la comunicazione. Ogni relazione, se vissuta su un piano maturo, paritario può portarci ad un arricchimento di noi stessi. Non esistono fallimenti, ma solo esperienze, dalle quali poter sempre crescere. Se ci mettessimo in modo consapevole, alla Mindfulness, ad osservare tutto questo, potremmo osservare a che punto siamo con la pazienza, la tolleranza, la compassione, l'accoglienza verso noi stessi e verso i nostri figli, di quanto certi comportamenti ed azioni di entrambi potrebbero arricchirci in maturità ed esperienza. Se la intraprendiamo così, non esisterebbe più fatica, stress, stanchezza, ma sarebbe tutto un motore, un energia che ci spinge verso il miglioramento, la comprensione, di noi stessi, dei nostri figli e di tutti. Il tutto sarebbe verso l’apertura del cuore, verso l’amore incondizionato, verso la fine dell’attaccamento e della sofferenza. Ma la nostra mente, gioca, e gli piace giocare. Al nostro ego non piace perdere e soprattutto vorrebbe che tutto andasse come lui vorrebbe. Ma chi è l’ego? È la parte di noi non cresciuta, che ha paura, che non vuole cambiamenti … Ma in consapevolezza, ci rendiamo conto che tutto questo è uno spreco di energie “immenso”, atto poi a sviluppare emozioni come rabbia, rancore, risentimento, e non certo amore, comprensione, compassione e gentilezza. Certo, le difficoltà spaventano, eppure mano a mano che andiamo a fondo nella vita, impariamo a riconsiderarle come un dono e la paura lascia il posto al coraggio – indovinate un po’ – dal latino cor habeo, “ho cuore”. Quando noto in me e negli altri la tendenza a girare lo sguardo dall’altra parte di fronte alla sofferenza, mi tornano sempre in mente le parole del Dalai Lama: “I posti che più ci fanno soffrire sono i posti dove è più possibile risvegliarci”. Meditare sulla compassione vuol dire coltivare una virtù, la cui radice vis in latino significa “forza”: la fortitudine di abbracciare le difficoltà, la forza interiore che permette di affrontare positivamente le avversità, senza esserne travolti in preda ai nostri meccanismi reattivi, così da rafforzare anche un’altra qualità, la resilienza. Ieri sera, mentre facevo la mia pratica giornaliera, ad un certo punto ho sentito la mia voce che mi diceva: “Questo non me lo aspettavo da te!”. Suona familiare, no? avete mai avuto a che fare con il vostro compagno “Giudicante”? Jack Kornfield dice che se la tua compassione non include te stesso, allora è incompleta. Forse possiamo partire da qui. La prossima volta che incontreremo qualche difficoltà, regaliamoci un bel momento di compassione e amorevolezza per noi stessi, e vedremo poi che anche il rapporti con i nostri cari e con tutti cambierà. Mi fermo e mi domando:

COSA STA ACCADENDO?

Mi fermo, faccio un paio di respiri consapevoli e mi chiedo cosa sto provando. Osservate senza giudizio, in piena accoglienza coltivando la consapevolezza che ci permette di riconoscere “quello che c’è in questo momento”

2. NON SIAMO DA SOLI

Entriamo in connessione con la natura della vita umana, che include dei momenti di sofferenza, inevitabilmente. Ogni volta che sorge il pensiero “nessuno mi può capire”, o “nessuno ha provato quello che provo io”, guardatelo per quello che è: solo un pensiero. Non è reale. Tutti soffriamo, migliaia di altre persone hanno provato questa stessa cosa.

3. PRENDIAMOCI CURA DI NOI

Apriamoci alla possibilità di gentilezza e generosità nei nostri confronti e coltiviamo quella distanza significativa che ci permette di osservare i pensieri che sorgono e decidere a quali credere e a quali no. Scegliamo di volerci bene.

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